Martedì, 29 Agosto 2006 15:27

Dio nel silenzio

Scritto da  Gerardo

Come la “suspencion of disbelief” è necessaria al lettor di poeti e la sospensione del giudizio al filosofo, così una sospensione della parola servirà al Mistico, sarà in altri termini la condizione affinché nelle sue meditazioni possa emergere Dio.

Questo sembra essere il messaggio che Philip Gröning ha voluto trasmettere con l’opera che ha onorato l’apertura della IV edizione del Festival del Documentario Religioso.

Nella serata dell’anteprima, il regista de Il grande silenzio ha risposto ad altre domande che riportiamo nel seguito.

D. – La vita monastica, così chiusa e separata all’esterno assomiglia a qualcosa di folle se comparato con ciò che si vive all’esterno. O è forse folle la vita là fuori?
R. – Io non vedo tutta questa differenza. L’intellettuale occidentale vive spesso un’esistenza separata dal resto della società e dunque, a suo modo, vive anch’egli molto spesso in una condizione di isolamento dagli altri.

D. – Siamo abituati a una sorta di rincorsa per cercare di dire le cose in modo sempre più accurato, preciso, giusto…
R. – Il linguaggio che conosciamo è fatto di un dire che, nel momento stesso in cui dice, rivela un forte potere “esclusivo”. Dire ciò che qualcosa è implica un’asserzione sulle molte cose che questa cosa non è. Dunque, sembra trattarsi di un linguaggio intrinsecamente “distruttivo”. Quello che vorrei aver mostrato è che nel silenzio, per così dire, le cose si mettono a parlare, che le immagini parlano ben oltre.

D. – La “consegna” per i novizi riguarda la ricerca interiore che avranno modo di compiere con la vita monastica. Tuttavia, mai nessuno di questi vi fa cenno.
R. – In effetti di questo non volevo assolutamente parlare. Tutt’altro. Il senso è piuttosto quello di far interrogare lo spettatore su cose del tipo “che domande mi farei?”, “come starei in quella condizione?”, “una vita del genere sarebbe adatta alla ricerca che io potrei voler fare dentro me”?”. In questo senso, il silenzio su tali questioni vorrebbe esplicitamente essere un invito a che lo spettatore si ponga questa domanda.

D. – Come hanno accolto, i monaci, il suo lavoro e quanto il loro giudizio avrebbe potuto influenzarla?
R. – Dirò subito che si sono molto divertiti, che hanno molto riso durante la proiezione. Mi hanno anche detto che si è riusciti a cogliere la profondità, anche spirituale, della vita del monastero.
In particolare, hanno scoperto con piacere e con sorpresa - ma anche con serenità - alcune piccole questioni riguardo alla vita privata, nella cella, di ognuno - cosa questa cui non hanno accesso. Così, si sono divertiti nel vedere il monaco brasiliano sedersi e mangiare con aria svagata nel giardino. O nel cogliere un altro che parla con i gatti ai quali dà da mangiare..
Quanto alla loro opinione sul mio lavoro, dirò che chiaramente nel montaggio mi vincolavo al loro desiderio, almeno nel senso che se mi avessero chiesto di non pubblicare una qualche sequenza avrei certamente rispettato questa richiesta. Ma devo anche aggiungere che di questo non c'è stato bisogno.

D. – Colpisce che le uniche parole siano in definitiva quelle delle Scritture, quelle “mute” della loro lettura e che oltre a ciò, in alcuni momenti “di libertà” si abbiano altre discussioni in cui traspare nettamente un tono umoristico e spiritoso. Così, il Grande Silente sembra essere il Libero Arbitrio.
R. – Che necessariamente deve tacere, dato che in ultima analisi, è da quel grande silenzio che può emergere Dio e anzi, potremmo anche dire che quel silenzio è Dio.
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